IL “DIRITTO” DI ESSERE UCCISI: VERSO LA MORTE DEL DIRITTO?

Il 25 giugno si è tenuta la presentazione del libro Il “diritto” di essere uccisi: verso la morte del diritto?.
Un dibattito organizzato da Centro Studi Rosario Livatino e Fondazione Magna Carta, a cui sono intervenuti: Gaetano Quagliariello (senatore, Forza Italia – Berlusconi Presidente (gruppo parlamentare Senato), Mauro Ronco (autore del libro e presidente del Centro Studi Rosario Livatino), Eugenia Roccella (giornalista), Alberto Gambino (presidente di Scienza e Vita), Cesare Mirabelli (presidente emerito della Corte Costituzionale).

Di seguito riportiamo la trascrizione del dibattito, realizzata da Steadfast ONLUS.

 

Il mio intervento dovrebbe essere particolarmente dedicato ai ringraziamenti, e i ringraziamenti sono anzitutto ai collaboratori del libro che si sono assunti un onere particolarmente forte, mi riferisco in particolare al Professor Geri, insieme al costituzionalista Divaglia di Messina, al professor Cornacchia che è penalista, è uno di quei pochi penalisti che assume come suo compito la difesa della vita oltre che dei valori non negoziabili, la professoressa Assuntina Morresi, che non vedo qui, ma è una combattente validissima anche nel comitato nazionale di bioetica, la professoressa Giovanna Lanzano che alla Sapienza è ordinario di diritto costituzionale o pubblico ora non ricordo e poi il dottor Giovanni Giacomo Rocchi che è un magistrato della suprema corte di cassazione oltre ad Alfredo Mantovano che ha introdotto e anche lui ha contribuito alla preparazione del libro.
Poi ringrazio il presidente Quagliariello che ha voluto invitarci ha voluto presentarlo, lo ringrazio tantissimo.
Ringrazio l’onorevole Roccella e anche il professor Gambino che dovrebbe arrivare, poi ringrazio in modo particolarissimo il presidente Mirabelli per la sua autorevolezza, noi siamo molto felici che egli possa concludere in questa breve giornata con il suo intervento, attendiamo con un certo desiderio, una certa ansia, per avere il conforto della sua parola.
Io dirò due parole soltanto sul libro, sul significato del perché del libro.
Dunque il perché ve lo spiego immediatamente, io sono rimasto molto, beh posso dire una parola anche giusta forse, indignato dell’ordinanza della corte costituzionale, perché è un’ordinanza che è connotata ad ambiguità, nel senso che assume da un lato una posizione chiara a favore dell’erosione del divieto dell’articolo 580, però d’altro canto rinvia la responsabilità della scelta al Parlamento.
Ora, e questo lo scrivo nella prefazione al libro, siccome le due corti dei diritti dell’uomo più importanti al mondo, la corte suprema americana nel 1997 e la corte dei diritti europea nel 2002 ed entrambe hanno dichiarato che non c’è diritto alla morte e quindi non c’è diritto di essere uccisi, beh sarebbe stato un passo veramente clamoroso che la corte italiana per la prima volta al mondo, come corte dei diritti si pronunciasse in questa prospettiva, per cui il rinvio al Parlamento mi è sembrato un èscamotage, come si suol dire, per far dire ad altri quello che forse non aveva il coraggio di dire.
E questo è la ragione che mi ha spinto a scrivere il libro, ma allora questo scrivere, collaborare, curare questo libro, ma allora chi ha il coraggio di scrivere che c’è un diritto ad essere uccisi e quindi c’è un dovere dello Stato ad uccidere, chi lo può sostenere chi lo può dire, il Parlamento finora non ha avuto il coraggio di dirlo.
Allora lo dirà la corte nel mese di settembre, il 24 settembre prossimo, io confido che no, perché ritengo che una eventuale dichiarazione in questo senso, e quindi un eventuale no, ma formulata in chiave eutanasica da parte della corte costituzionale sarebbe in qualche modo una norma incostituzionale.
Allora sarebbe il paradosso dei paradossi, cioè la corte costituzionale che si pronuncia per creare una norma anticostituzionale, questo è un profilo particolare e allora abbiamo cercato di trovare qualche argomento, ho voluto nel libro sostanzialmente creare tre stadi per tre questioni.
Prima questione storica, me lo ricordava il presidente Quagliariello, cioè vi è stato a partire dagli anni ‘60 ‘65 in tutto il mondo, soprattutto nel mondo anglosassone e anche nel mondo germanico, un tentativo di vedere nell’esperienza nazionalsocialista una parentesi, l’esperienza è stata una cosa pariteticamente confinabile e legata alla disumanità del nazionalsocialismo.
Questo non è vero perché le premesse dell’attività di sterminio dei minorati mentali, dei minorati fisici, nel periodo del ‘39 ‘45 è anticipato dalle idee e dalle proposte ed anche dalle attività concrete che vengono esercitate nel mondo anglosassone per circa 50 anni e per tutti 50 anni precedenti.
Addirittura ho dato la dimostrazione, attraverso una ricerca filologica, che gli autori anglosassoni, americani in modo particolare, che intendevano nel ‘38 ‘39 introdurre leggi eutanasiche del tipo di quelli che sarebbero state poi attuate in Germania nazionalsocialista, come voi sapete in Germania non fu mai approvata una legge eutanasica.
In realtà l’attività viene svolta attraverso attività amministrative sanitarie di un gruppo di criminali organizzati intorno a Hitler, con il suo medico di fiducia, pure con i suoi funzionari del Ministero della Sanità, questo è il dato di fatto però nel ‘38 ‘39 negli Stati Uniti si volevano organizzare leggi del tipo di quelle che sarebbero poi state attuate, non come leggi, in Germania.
E poi dopo vent’anni dalla fine della guerra riprende questa ondata eutanasica negli Stati Uniti, nello stesso modo in cui era stata programmata anticipatamente e poi viene sviluppata, del fatto dell’esperimento dell’Olanda molto importante come esperimento.
Una spiegazione dell’autorità governativa olandese che spiegava dell’esperimento che noi lo possiamo fare perché abbiamo un sistema sanitario più avanzato del mondo.
I nostri medici possono in qualche modo godere della fiducia della collettività e dunque possono praticare l’eutanasia perché non faranno arbitri.
Mi ha ricordato prima il presidente, il caso della giovanissima Noa,
Noa si inserisce in una storia molto importante che già nel libro l’ho ricordato nella nota 173 pagina 257 del libro.
Questo programma diciamo di uccisione, di auto uccisione assistita che ha esercitato questa povera ragazzina, è un programma pensato e organizzato dal dottor Chabot, il quale venne condannato, prima dell’introduzione della legge eutanasica in Olanda praticava l’eutanasia e venne dichiarato guilty without punishment nel 1996 e proseguì con la sua attività di carattere eutanasico attraverso l’elaborazione di un metodo, il metodo del vestering, lo chiama così, lui ha pubblicato alcuni libri importanti, ultimo nel 2014 in lingua inglese, ci sono alcuni libri precedenti in lingua olandese che io non ho letto, quello in lingua inglese l’ho leto ed è un documento attraverso il quale la persona si auto uccide attraverso la rinuncia all’alimentazione e alla idratazione, sostenuta però da un equipe medica che ha programmato per questa persona una palliazione dei dolori e delle sofferenze, che in essa si incontra, ora questo è un metodo per superare la legge olandese che oggi vieta l’eutanasia ancora coloro che non si trovano in determinate condizioni di malattia.
La ragazzina non si trovava in condizioni di malattia, aveva una forma di anoressia particolarmente significativa particolarmente importante, chiede diciamo di mettere fine alle sue sofferenze e il medico gli offre questo strumento, questo metodo, attraverso il quale essa si porta alla morte, come quello che viene però praticato già non è l’unico caso, questo caso ha portato scalpore perché si tratta di una ragazzina viene praticato in moltissimi casi.
Allora non è una parentesi che lo sterminio nazionalsocialista questo il primo obiettivo che ho voluto perseguire attraverso la scrittura di questo testo, secondo obiettivo quello di dimostrare la differenza tra l’eutanasia attiva e forme diverse della cosiddetta eutanasia passiva, il cosiddetto desiderio di morte che viene spesso espresso, la rinuncia alle cure, a rinunciare a cure talora futili talora anche utili, ma comunque ciascuno di noi è a rinunciare, se sono particolarmente dolorose
Questa cosa di mettere in evidenza cos’è l’eutanasia attiva, distinguere situazioni che invece sono ad esse accorpate, avvicinate ad esse proprio per legittimare la stessa eutanasia attiva, lo diceva il grande filosofo tedesco Speman, il quale fece un suo intervento nel 1999 all’accademia della vita Bper fondata da Papa Giovanni Paolo II, diceva che il modo migliore per favorire l’introduzione dell’eutanasia attiva è quella diciamo di assimilarla, al far credere che sia la stessa cosa della eutanasia passiva, cioè nell’atto della rinuncia alle cure.
Ora nella seconda parte del volume io metto in luce proprio questo, nella terza parte cerco invece di vedere il fondamento della dignità dell’uomo che prevale fondamentalmente, essenzialmente sulla libertà allora dignità, responsabilità e libertà, questa è la gerarchia dei valori, peraltro gerarchia dei valori come ho cercato di dimostrare che costituzionale, perché articolo 2 della Costituzione, l’articolo 3 sia nel primo comma che nel secondo comma, sono essenzialmente rivolti a porre al vertice dei valori costituzionali proprio la solidarietà e l’uguaglianza di tutti gli uomini nella responsabilità verso se stessi e verso gli altri.
Non menziono la responsabilità di ciascuno di noi verso Dio perché questo è verissimo, dobbiamo anche dirlo se siamo cristiani però in un mondo che non accetta l’ateista o tende a diventare ateista anche se in fondo in fondo non è una minoranza notevole, ma questo non è l’aspetto strettamente costituzionale, l’aspetto strettamente costituzionale è la responsabilità verso se stessi e verso gli altri, e questo va detto, ed è detto in questo testo.
Ringrazio poi gli altri autori, in particolare che hanno scritto delle cose importantissime, la professoressa Razzano che è qui davanti,a me, con la sua tematica sulle cure palliative, professoressa Cornacchia sul tema della rinuncia alle cure, il dottor Rocchi tema importantissimo , dell’anticostituzionalità nel raccontare la costituzione di norme di carattere eutanasico.
Questi sono punti assolutamente importanti e poi ancora Assuntina Morresi, su tematiche di carattere assistenziale che sono straordinariamente importanti per accompagnare alla morte le persone veramente secondo dignità.
Tutti questi autori, poi il Professor Ruggeri che ha fatto delle critiche acutissime sull’ordinanza della corte costituzionale e che voglio ancora ringraziare.
In questo libro io credo, come diceva prima il presidente Quagliariello, ci sono le basi per una mediazione, per un approfondimento anche da parte di tutti i giuristi.
I giuristi studiano poco o molto le norme, ma studiano poco le norme in relazione ai loro principi, in relazione alla filosofia che li sorregge in particolare alla filosofia e all’antropologia che li sorregge.
Qui i giuristi che studiano tantissimo le norme e le combinazioni di norme eccetera, dovrebbero però riflettere di più sui fondamenti filosofici delle norme stesse.
Grazie ancora a tutti.

 

QUAGLIARIELLO:
Allora ringraziamo il professor Ronco anche perché solitamente diciamo l’autore, il curatore è quello che conclude il dibattito, credo che sia stato anche un atto di generosità invece l’essere voluto intervenire in premessa per presentare il volume e dare spazio a tutti coloro che vi hanno collaborato.
Salutiamo il professor Gambino che ci ha raggiunto, gli diamo il tempo di acclimatarsi e quindi diamo la parola all’onorevole Eugenia Roccella.

 

EUGENIA ROCCELLA
Io devo ringraziare assolutamente gli autori di questo volume, in particolare il professore Ronco ovviamente per il contributo che è veramente straordinario, molto molto notevole, e proprio perché ha ragione, i giuristi parlano di leggi e la filosofia del diritto, anche quella viene studiata in modo un po’ settoriale e invece questo inquadramento storico, queste connessioni che ci sono e che ha messo in luce nel suo contributo il professor Ronco sono veramente illuminanti.
Devo anche ringraziare il centro Livatino, devo proprio fare un ringraziamento stile canzonetta di Eros Ramazzotti “grazie di esistere” perché davvero in questo momento in cui c’è un deserto di elaborazione e di interesse, ormai è un deserto di interventi,è un deserto di dibattito, il centro Livatino è diventato un punto di riferimento, una sicurezza, un punto di riferimento serio, solido, ascoltato e quindi veramente irrinunciabile ormai, grazie a tutti, li vedo tutti, il professore Airoma, Filippo Vari, Alfredo Mantovano, non so se c’è qualcun altro che dimentico e io spero appunto che questo libro lo leggeranno i parlamentari anche, che anche loro leggono poco e studiano poco, i giuristi, i magistrati ci contiamo e quello che appunto viene in questo momento emerge in maniera veramente scioccante, per me è proprio quello a cui mi riferivo prima, questo deserto di dibattito, questa mancanza assoluta di dibattito, noi qui stiamo cambiando qualcosa che è essenziale per gli esseri umani, cioè c’è questo lungo attacco al favor vitae, un attacco che viene da lontano che ha avuto dei momenti di sottotraccia e dei momenti in cui è riemerso, il professore parlava appunto del tentativo di mettere fra parentesi ed isolare il momento pro eugenetica, pro eutanasia sia del nazismo ma sappiamo che c’è eugenetica socialdemocratica, c’è la Svezia, c’è il Giappone e che l’eugenetica, l’eutanasia hanno una sostanziale affinità culturale, un’affinità d’intenti, l’attacco poi a favor vitae ecco oggi in questo momento in Italia, esattamente come peraltro anche durante il dibattito parlamentare sulla legge 219 la cosiddetta sul consenso informato e sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, e non c’è stato nel paese dibattito.
E proprio per richiamare questo dibattito, io nel mio piccolo avevo scritto un libro a 10 anni del caso Englaro perché mettendo a confronto quei momenti, quell’epoca con oggi viene veramente uno scoramento, in quel momento ci fu un dibattito che coinvolgeva veramente tutti, che coinvolgeva i politici, che coinvolgeva la classe dei colti, che coinvolgeva anche personaggi pubblici che non avevano un diretto interesse cioè da Celentano ad altri personaggi pubblici appunto, che avrebbero potuto tacere che non erano chiamati in causa.
Quel dibattito è stato fondamentale perché c’è stato e c’è stato perché c’era la battaglia politica.
Oggi non c’è la battaglia politica e quindi noi stiamo cercando di prendere la questione dal lato fondamentale, dal lato culturale, dal lato del dibattito culturale, il dibattito giuridico, ma in realtà manca il motore primario di un dibattito pubblico, di un coinvolgimento dell’opinione pubblica, che è la battaglia politica qui non c’è.
L’altra cosa che manca lo devo dire, lo voglio dire, è una voce forte, non chiara perché a volte chiara è stata, ma una voce forte da parte della chiesa, un intervento forte da parte della chiesa, tanto che il mondo cattolico in questo momento è assolutamente confuso e questo libro è importante anche per chiarire anche da questo punto di vista quali sono i termini della questione, i termini della questione sono attacco a favor vitae che è poi attacco all’umano.
Io su questo punto ho insistito ogni volta che ho fatto un intervento sul tema, cioè attaccare il favor vitae è attaccare l’umano, è attaccare l’esperienza umana e anche proprio la comunità, lo stare insieme degli uomini, la solidarietà, l’idea della fratellanza quindi il cuore dell’umano e dell’esperienza umana, dicevo che nel libro soprattutto, sono la gran parte del libro.
Nello studio del professor Ronco si parla di darwinismo e di Francis Galton che era il cognato, se non ricordo male di Darwin e grande sostenitore dell’eugenetica, ma Francis Galton fu anche il primo a spiegare una cosa che poi è stata decisiva per le fortune dell’eugenetica e dell’eutanasia, cioè che per avere successo l’eugenetica non poteva essere soltanto imposta dall’alto, come fu all’inizio, ma doveva essere chiesta dal basso, in qualche strano modo i nazisti l’hanno capito perché questo inizia proprio con la richiesta di un genitore di eliminare un bambino gravemente disabile, ma Galton ha proprio teorizzato questo punto essenziale, cioè non si può fare partire dall’alto, non si può imporre com’era in quegli anni, l’eugenetica bisogna che nasca dal basso cioè bisogna che sia una richiesta di autodeterminazione, cioè sia una richiesta di qualità della vita o di dignità della vita insomma una richiesta comunque di decisione individuale sulla proprio vita su se stessi.
Questo è stato proprio il punto, la strada che ha ricreato la fortuna dell’eugenetica, dell’eutanasia in particolare dell’eutanasia nelle nostre società occidentali.
Nel mondo occidentale ormai quest’idea, cioè appunto che noi siamo padroni della nostra vita , che è fondamentale decidere di noi stessi in base alla qualità della vita, anche se l’idea di qualità della vita mi sembra un criterio assolutamente merceologico, assolutamente inapplicabile alla vita ma, e c’è anche un altro contributo in un interessante intervento sulla differenza fra la dignità della vita e qualità della vita, ma comunque la possibilità di decidere di se stessi, decidere da soli di decidere anche le cose più estreme, cioè di porre fine alla propria esistenza è ormai un luogo comune, cioè l’idea dell’autodeterminazione io ricordo ancora Bersani, che diceva io sono padrone della mia vita , mica Quagliariello, mica Roccella è padrone della mia vita, no certo noi non siamo padroni della tua vita ma neanche tu sei pienamente padrone della tua vita, perché nessuno di noi è realmente autodeterminato, io cerco sempre di spiegare che ognuno di noi nasce totalmente etero, determinato, cioè non nasciamo nel corpo di un’altra persona e quello che fa l’altra persona su se stessa e anche la decisione su un altro quindi è una situazione che tant’è vero che all’epoca del femminismo una cosa molto giusta, una critica molto giusta che facevano le femministe all’epoca all’idea di individual, concetto di individuo che è il concetto cruciale della cittadinanza nel mondo liberale , nel mondo democrazie occidentali, individual vuol dire individuo, individuo etimologicamente vuol dire che non si divide, ma la donna si divide, la donna si divide due in uno, quindi questo concetto esclude la donna, tant’è vero che la cittadinanza alle donne, il diritto di voto ecc., c’è stato un percorso problematico e complicato.
Quindi il problema è proprio che l’idea stessa di autodeterminazione non è l’idea di libertà, cioè noi siamo autodeterminati ma molto poco, noi siamo liberi, liberi di scegliere, di scegliere fra il bene e il male, ma non è chi siamo autodeterminati perché più che individui siamo persone, cioè siamo immerse in un tessuto di relazioni e quindi siamo dipendenti, reciprocamente dipendenti, siamo immersi in un tessuto che ci condiziona e che noi condizioniamo e quindi questa nostra autodeterminazione è veramente molto limitata.
Però appunto questo ormai è il luogo comune che passa, che passa ormai appunto è una banalità e su cui si è costruita proprio l’idea dall’utero è mio e lo gestisco io, il corpo è mio e lo gestisco io, la vita è mia e la gestisco io, insomma tutto è mio e lo gestisco io e poi in realtà quando noi siamo fragili e lo siamo, penso più o meno per almeno metà della nostra vita, tra inizio vita e fine vita, momenti di debolezza e a questo punto uno dovrebbe dire bene allora ti gestisci da solo, non è così siamo continuamente dentro un tessuto di affidamento e di relazioni di dipendenza e questa totalmente ignorata dal luogo comune dell’autodeterminazione, ma è strettamente connessa alla questione della qualità della vita e non appunto della dignità, della qualità della vita perché se tu vuoi essere autodeterminato è fondamentale che tu sia assolutamente efficiente, in perfette condizioni fisiche, assolutamente efficiente, assolutamente in grado di fare da solo, di fare tutto da solo.
Anche questa è una condizione di cui gli esseri umani sono per un lasso di tempo relativamente breve, perché non lo si è da piccoli, non lo si è da anziani, non lo si è quando si è malati insomma, però questa questione dell’auto determinazione connessa alla qualità della vita e pensiamo alla frase che è sul Ministero della Salute, la Turco la fece mettere sull’edificio del Ministero della Salute, cioè la definizione di salute come condizione di benessere e non mi ricordo esattamente come era, insomma di condizione di benessere generali, psicofisico, insomma bisogna essere felici sia in salute, quando si è felici, quando si è non soltanto in salute fisica ma in una condizione appunto di benessere.
Allora tutto questo poi dove porta, porta ormai all’idea che quindi, l’eutanasia, chiamiamola con il suo nome, che però non viene più chiamata eutanasia, professor Ronco appunto parla del mascheramento terminologico, che mi ricordo in un vecchio libro scrissi lo slittamento semantico è sempre un processo sempre più avanzato quello di modificare i termini, in modo da adattare i termini in modo che siano accettabili dal punto di vista culturale e porta al fatto che ormai l’eutanasia è, e lo è sempre di più un trattamento sanitario, la 219 è costruita così.
Si parlava prima di Noa, è esattamente il metodo con cui si può morire attraverso la legge 219, io tolgo per mia decisione idratazione e alimentazione, dopo di che, siccome sono in uno stato di sofferenza interviene la sedazione profonda che è necessaria per non farmi soffrire e muori in questo modo.
La corte ha avuto gioco facile, cioè all’epoca appunto dissi questa è la via italiana all’eutanasia, la corte costituzionale è andata oltre, non ha neanche definito come via italiana, ha detto questa è eutanasia e quindi perché c’è un unico modo, un’unica modalità eutanasica, ci potrebbero essere altre modalità, per scelta personale appunto una decide di morire, la più in fretta o con altri metodi e così via.
Però il punto fondamentale è che questo è un trattamento sanitario offerto in alcune condizioni e quindi quando pensiamo quando entrerà nei livelli essenziali di assistenza pensiamo a quando ci sarà un DRG sulla morte, sul suicidio assistito, sostanzialmente sulla morte medicalmente assistita.
Anche qui ricordo che quando fu il caso Englaro, l’atto di indirizzo fatto dal ministro Sacconi che
era una ricognizione delle leggi e dei regolamenti sul tema fece fermare quelli che in quel momento stavano facendo portare via la Englaro a morire proprio perché il problema molto chiaro è che in Italia, ancora oggi, ancora non si può offrire la morte come trattamento sanitario, cioè non esiste un modo che rispetti le regole del sistema sanitario, di entrare in una struttura ed essere ammazzati legalmente, anche quando c’era una sentenza, però applicare quella sentenza voleva dire per forza di cose dribblare, violare una serie di regole proprio perché non c’era la possibilità , non c’è un punto, non c’è un livello, non entra nell’era, non c’è un DRG, qui non c’è un rimborso.
Oggi invece siamo su questa strada quindi questa è la strada che stiamo ripercorrendo e c’è un caso di cui ha scritto la Morresi fra l’altro, che è molto significativo per il nostro futuro per la prospettiva del futuro che ci aspetta e che è quello australiano.
Allora in Australia adesso c’è un progetto ministeriale di implementazione del suicidio assistito, perché guarda un po’ magari si suicidano troppo poco, cioè ricorrono troppo poco, ci sono delle difficoltà nel ricorso all’eutanasia e allora giustamente a questo punto il ministero ha fatto allora un programma di implementazione.
È un programma che prevede dei, scusate dei navigator qualcosa che risuona in questo momento alle nostre orecchie, dei navigator che hanno proprio il compito di facilitare le cose per chi vuole la morte, il suicidio assistito, vuole ricorrere al suicidio alla morte medicalmente assistita per essere precisa, e magari ha qualche difficoltà.
C’è una casistica, quindi per esempio John vuole morire ma il suo compagno non vuole, i genitori per giunta sono lontani e insomma ci sono dei problemi, come si fa a superarli?
Questa casistica spiega e fa vedere come i navigator possono risolvere il problema e i navigator si possono incaricare di parlare con i genitori, quindi questa è la strada verso cui stiamo andando.
La morte medicalmente assistita come trattamento sanitario quindi come trattamento clinicamente appropriato ed abbiamo parlato tanto di appropriatezza medica, ecco questo sarà un trattamento clinicamente appropriato per alcune condizioni, l’idea che la morte, la scelta di morte e la scelta di vita si equivalgano, ecco ma io ho avuto un dibattito, ricordo con Manconi su questo, diceva va bene perché eravamo in presenza anche di quel papà di una ragazza che era in stato vegetativo e diceva no ma mia figlia vuole vivere, io capisco che mia figlia vuole vivere quindi non farò mai una scelta tipo quella di Beppino Englaro e Manconi diceva sì ma appunto ci sono le persone che vogliono vivere e ci sono le persone che vogliono morire, quindi il problema è assolutamente equivalente e dico il mio intervento era proprio su questa fonte, cioè mai possiamo veramente pensare che la scelta di vita e la scelta di morte si equivalgano.
Cosa succede della nostra comunità se passa questo se passa l’idea che morire o scegliere sono scelte equivalenti e che tra i trattamenti sanitari possiamo scegliere non so appunto di accedere ad un trattamento, oppure di accedere al suicidio assistito.
Grazie.

 

QUAGLIARIELLO
Grazie Eugenia per insomma aver messo a fuoco la distinzione tra la nozione di individuo e la nozione di persona, rispetto alla relazione con la società, aver evidenziato come da questo discerne un’idea di libertà assoluta, che tra l’altro diventa pretesa da parte dello Stato dell’individuo e averci poi evidenziato alcune pratiche che sembrano incredibili e che invece insomma sono dietro l’angolo.
Perchè anche su questo noi dovremmo, scusate se introduco una piccola nota diciamo di leggerezza, insomma se noi guardiamo anche a ritroso, ci rendiamo conto come alcune cose nel giro di pochi anni, che sembravano paradossali sono invece entrati e hanno sfondato il dibattito pubblico e oggi sembrano diciamo quasi delle ovvietà.
Quando Eugenia parlava della scritta che sta sul ministero della salute, mi è venuto in mente il ricordo del più grande incidente giornalistico di cui sono stato protagonista, perché una decina di anni fa il direttore del Giornale Belpietro mi chiese di commentare, di fare un editoriale su una legge che aveva presentato la Turco sull’eutanasia, io scrissi un intervento diciamo accalorato e il giorno dopo scoprii che la legge non era stata presentata dal ministro Turco ma era stata presentata da un parlamentare che si chiamava Turco di cognome, allora questa cosa destò un grandissimo scandalo, un’offesa al ministro, tant’è che mandai un grandissimo mazzo di fiori e facemmo pace.
Stavo pensando che se fosse accaduto oggi forse non si sarebbe stupito nessuno e anzi forse la cosa sarebbe stata rivendicata non solo come legittima, ora fatta questa piccola parentesi credo che il professor Gambino si sia ambientato e che sia pronto per prendere la parola.

 

GAMBINO
Ringrazio molto di questa opportunità e vorrei partire dal metodo che Centro Studi Livatino, Mauro Ronco, Alfredo Mantovano stanno seguendo da un po’ di anni ed è quello del rigore intellettuale.
La lettura verso i problemi dell’attualità e il dialogo, il dialogo partendo da posizioni che si ritiene siano fondate, anche andando a scavare nelle categorie giuridiche, nella storia nei dogmi di certe tradizioni che a noi giuristi, sono sempre un po’ i pilastri del sapere legato poi al dato legislativo.
Ecco questo è un metodo desueto oggi, oggi noi assistiamo piuttosto a volumi, volumetti c’è una sovra produzione che è spesso è legata ad opinioni e su soggettivismo ma poco fondate dal punto di vista del metodo proprio dei saperi.
E il fatto che il professor Ronco, che è dentro un sapere importante che quasi rasenta la filosofia come il diritto penale, riesce a incardinare dentro quei dogmi di quel sapere, dei lavori che hanno poi all’interno anche una pluralità di commentatori, anche legati a saperi diversi, questo è un bell’esempio, ma tuttavia tutti tendono verso questo rigore, ecco questo ritengo che sia il miglior contributo che oggi i giuristi possono dare al dibattito pubblico, perché l’altra strada, quella più legata alla persuasione, all’argomentazione, un po’ alla retorica, anche alle capacità oratorie sono sempre strade effimere, che poi ad un certo punto finiscono perché c’è sempre qualcuno più bravo di te nel riuscire ad argomentare esattamente il contrario delle tue tesi, qui invece è difficile disarticolare dei ragionamenti perché non sono ragionamenti ad effetto, ma sono ragionamenti che hanno un livello di approfondimento che, dall’altra parte lo stile è un po’ come con papa Benedetto, con Papa Benedetto il confronto era difficile ed è tuttora difficile per gli intellettuali che anche non la pensano come lui entrare in contrasto, è più facile entrare in dialogo se si sta però sullo stesso livello se non si sta sullo stesso livello c’è poco da fare, è anche inutile, si fa in qualche modo brutta figura.
Allora questo è il connotato di questo lavoro, lavoro che devo dire particolarmente affascinante per chi, io sono un civilista, quindi ho sempre visto queste categorie in una dimensione un po’ plastica, diritto civile, diritto privato legato al patrimonio, legato in qualche modo all’interpretazione legata anche ad una continua metamorfosi degli istituti giuridici che si vanno a plasmare, ad adattare su quello che sono i fenomeni sociali.
Diritto penale è più complicato da questo punto di vista, è più difficile riuscire a plasmare fenomeni sociali, sono viceversa i fenomeni sociali che vanno letti all’interno di un sistema e allora qui davvero ho trovato delle pagine estremamente interessanti dove avete affrontato il tema.
Perché devo avere cura verso me stesso e devo avere cura verso gli altri e perchè invece se io decido ecco di interrompere la mia esistenza non posso avere quella libertà giuridificata?
Qui non è in gioco la categoria della libertà, è in gioco la categoria del diritto e cioè di quando lo Stato, l’autorità pubblica assiste quella libertà offrendo un presidio, uno strumento giuridico, e questo è il tema, non è la libertà.
La libertà è sacrosanta e nessuno la può toccare, ma quando l’ordinamento appresta degli strumenti per fare in modo che quella libertà diventi cogente verso se stessi e verso gli altri, qui c’è un tema che è difficile da spiegare, bisogna andare veramente in profondità , che se siamo tutti uguali è perché il valore del bene giuridico essere umano, è identico sia che lo incarno io sia che lo incarna l’altro, se così non fosse e fossero su posizioni diverse, non sarebbe più un bene giuridico legato a una eguaglianza sostanziale tra tutti in consociati, e proprio così è difficile spiegare l’indisponibilità perché è un tema che oggi non funziona appunto mediaticamente, i diritti indisponibili ma come diritti indisponibili se è un diritto io ne dispongo.
In realtà il diritto indisponibile, qui i civilisti lo sanno bene, non significa che non se ne può disporre, significa che non si può vendere, non si può trasmettere, non si può dare ad un altro soggetto, non ci si può spossessare e consentire l’esercizio ad un soggetto terzo, questo è l’indisponibilità, non che io non ne posso esercitare, ma che non lo posso spogliare e dare ad un altro soggetto, perché a quel punto il mio bene retrocede e diventa un minus rispetto al bene essere umano.
Questi passaggi che non sono facilissimi da spiegare, qui trovano proprio la radice in fondo anche dell’eguaglianza tra i consociati, perché è evidente che se quella mia libertà diventa diritto di autodeterminazione assoluta a tal punto che possano discrezionalmente decidere di troncare, di spezzare quel bene giuridico , inevitabilmente metto a repentaglio tutti i beni giuridici dell’umanità e cioè tutte le vite umane, perché o sono diversi e quindi io valgo meno degli altri oppure se sono uguali questa regola varrà esattamente come gli altri e qui poi c’è tutta la ricostruzione storica, anche di quelle patologiche aberrazioni del diritto, fino ad arrivare a delle deformazioni che hanno portato anche a una differenziazione tra gli esseri umani nella maniera più spietata assoluta come nel durante e prima del secondo conflitto mondiale e un altro passaggio che devo dire suscita un particolare interesse è il tema della proporzionalità.
Tema della proporzionalità della cura, perché è vero che abbiamo fatto una legge hanno fatto i parlamentari una legge la 219 che a un certo punto lì dentro c’è un vulnus importante, il vulnus è importante quando, semplifico, l’idratazione e l’alimentazione diventa “appunto disponibile” e cioè quella legge si può discutere, se ne può parlare, però poi ad un certo punto quando si arriva a delle forme di sostentamento vitali e queste vengono trattate come se fossero delle terapie, dei medicinali e quindi si aggancia a quel rifiuto alle terapie e all’acqua e alla alimentazione, inevitabilmente ecco che quel bene giuridico personale si relativizza perché tu stai rinunciando effettivamente alla tua vita, perché rifiutare l’acqua o alimentazione significa rinunciare alla vita e allora in quel passaggio e, molto l’hanno qualificata con eutanasia passiva se non addirittura attiva, comunque una forma che ha dato il la con molta onestà intellettuale alla corte costituzionale, perché la corte costituzionale in una logica importante ha detto, ma se tu acconsenti di poter morire con questo sfinimento dell’annientamento dei presidi di sostentamento , e va beh ma dargli una chance di interromperlo prima perché devi logorarlo.
Eppure qui ci sono dei passaggi molto interessanti anche da questo punto di vista, quello che sembra quel logorio gli ultimi istanti della propria vita e invece è strettamente legato proprio a questo bene giuridico, e cioè nella fragilità estrema quel bene giuridico rimane giustissimo non muta e proprio perché non muta è anche diverso il tema di una rinunzia ad un accudimento rispetto al tema invece di interruzione brutale di quell’esistenza, e quindi sebbene la corte abbia in una sua logica portato alle estreme conseguenze quello che è stata la legge 219 già prevedeva, quel salto logico e tuttavia la motivazione per cui oggi occorre impedire che l’ordinanza della corte entri dentro la legge 219 e cioè l’idea che si possa considerare in un rapporto di alleanza medico-paziente anche nel momento più strenuo di questo abbandono, dove però il medico rimane sempre vicino a quel salto di qualità, invece il medico o chi per lui, i medici si sono rifiutati di fare, questo possa invece somministrare il farmaco letale e interrompere definitivamente l’esistenza umana.
Ed è importante quello che noi sappiamo, perché in Europa solo alcuni paesi del nord Europa la accolgono, perché la Francia non ce l’ha, perché la Germania non ce l’ha la legge perché Spagna non ha la legge.
Perchè noi tutto ad un tratto nel giro di 24 mesi dobbiamo, da un paese che non prevedeva una legge sul fine vita, scavalcare gli ordinamenti che sono più simili ai nostri aprendo a ciò che non è previsto neanche a quegli ordinamenti, i francesi in questo sono molto attenti, lì c’è un rifiuto in qualche modo di tutto quello che riguarda anche l’idratazione e l’alimentazione, abbiamo davanti il caso di Lambert abbastanza eclatante e vedremo come va a finire, ma perché lì si vuole in qualche modo tornare a un intendo, potremmo dire un po’ naturalistico e cioè dire la vita umana ad un certo punto con la tecnologica può essere allungata, la rifiutiamo e con la tecnologia lasciamo che il decorso vada avanti, poi discuteremo se anche quel presidio di sostentamento, e dicono con grande coerenza diventa tecnologia anche l’eutanasia, perché anticipare la morte significa che è inserito un elemento artificiale nel decorso naturale di quell’esistenza e nella loro radicalità i francesi lo rifiutano questo concetto e quindi per loro sia un senso che nell’altro non ci può essere in quel sistema la possibilità appunto di somministrare un farmaco letale, perché letale perché significa in questo senso fare entrare dentro un espediente che non consente invece di avere quel decorso, guardate che questo significa che lì un ordinanza come quella di corte costituzionale sarebbe immediatamente ed è stata rispedita al mittente e allora verrebbe da dire eh ma allora l’ordinamento francese, quello tedesco e quello spagnolo sono anticostituzionali.
Cioè adesso nell’Europa della costituzione dove tutti abbiamo dei principi capisaldi, lo stigma che sta dando la corte costituzionale al Parlamento italiano nel non aver previsto e che ora dovrà prevedere invece questa forma e c’è un po’ di suicidio assistito è perché contrasterebbe evidentemente con i principi della nostra Carta Costituzionale ma che invece negli ordinamenti hanno i vicini che hanno fior di carte costituzionali è pacifico che non contrastano, questo è un elemento importantissimo e interessante perché altrimenti l’Italia da fanalino di coda, dipende poi dai punti di vista, di questo progressismo nei diritti, a un certo punto fa un salto mortale in avanti e si avvicina a Belgio, Olanda, Lussemburgo, dove invece ci sono già.
Come è possibile che si arriva a tanto in quell’ordinanza ,e questo è un tema importante perché il titolo “Il diritto di essere uccisi verso la morte di diritto” ebbene vuole dire questo, perché la morte del diritto intesa in questo senso non è la morte di un convitato indifferente ma è la morte dell’umanità,è la morte delle regole sociali, è la morte della relazionalità è la morte di tutto quello che si è costruito nei decenni anche nella carta costituzionale secondo il principio di solidarietà.
Qui ci sono altri passaggi, gli autori sono presenti, poi sono anche amici e il tema della solidarietà che forse invece è l’argomento più facile anche da divulgare nel dibattito pubblico, che quando interviene il diritto e arma una libertà, quella libertà armata è insidiosa anche per chi ne è titolare, è un po’ come il porto d’armi, è insidioso non solo per gli altri ma anche per se stessi e purtroppo lo sappiamo da tanti tragici eventi che ci sono per chi ha questa possibilità in più rispetto agli altri consociati e cioè armare la libertà affidando ad essa anche l’esercizio di un diritto che in quanto diritto non può essere ostacolato, implica che muore l’altra libertà dell’altro consociato, che non può più esercitarla in una dinamica relazionale che è la nostra vita.
La nostra vita è fatta di incontri tra libertà e la cosa più bella che abbiamo nella nostra carta costituzionale che si chiama solidarietà, perché quando le due libertà si incontrano la libertà che è l’intento di aiutare l’altro ed è una libertà e, può diventare anche un dovere civile, diventa solidarietà.
Ma se si blocca quella possibilità di esercizio dell’altra libertà, si sta bloccando il principio di solidarietà e l’ordinamento muore, il diritto muore, la carta costituzionale muore.
Questo è qualcosa di eclatante nel nostro scenario costituzionale, cioè significa che noi in questo momento se davvero facessimo entrare questa autodeterminazione tale che può arrivare a certe condizioni davanti a certe fragilità le patologie, anche il chiedere all’altro consociato un aiuto per porre fine alla propria esistenza, l’altro consociato che alla fine può essere anche lo Stato, ad un certo punto se non ci fossero consociati che vogliono aiutarlo perché questo significa, l’altro consociato non ha nessuna libertà di porre in essere la sua umanità non può farlo, si trova davanti una barriera perché le conseguenza anche giuridiche sono pesantissime, sono pesantissime perchè significa conculcare l’esercizio di un diritto altrui, diritto e quindi con tutte le conseguenze del caso, arrivando anche delle responsabilità penali, perché se qualcuno impedisce ad altri di esercitare quel diritto sta ignorando non una libertà ma un diritto e il diritto ha poi tutte le sue conseguenze quanto a sanzioni, quindi siamo davanti oggi ad un passaggio cruciale e tra l’altro il rigore di questo volume, non cede alla tempestività.
Non credo siano molti i volumi che sono usciti dopo l’ordinanza della corte costituzionale, perché qui dentro si commenta l’ordinanza della corte costituzionale e si prefigurano gli scenari, insomma parliamo di una manciata di mesi fa e non di tanto tempo fa e allora qui il tema diventa anche molto interessante, il Centro Studi Livatino, Mauro lo sa, ci sono altre organizzazioni di bravi giuristi e noi ne facevamo parte, io ancora lui un po’ di tempo fa ha partecipato a quest’altra realtà, e qui è decisivo il passaggio del riuscire a fare proposte.
Cioè non si può rimanere chiusi in un angolo e fare soltanto dibattiti per addetti ai lavori, è necessario che con il linguaggio, con la comunicazione, affrontate il tema in tutto il suo rigore poi si esca con delle proposte, adesso la proposta è complicata, perché la proposta che ci sta chiedendo la corte, significa modificare l’art. 580 del codice penale, prima risposta non facciamo nulla, la corte provvede e lo modifica ovviamente.
Lo modifichiamo solo nei limiti di un rendere un po’ più attenuate alcune sanzioni e qui quando ci troviamo davanti a delle vicende tipo quelle delle due persone graziate dal capo dello Stato recentemente allora lì la pena si può attenuare, oppure addirittura lo rendiamo una sanzione amministrativa quindi una sorta di depenalizzazione, rientriamo già in un’altra zona, oppure addirittura entriamo nella legge 219 che sarebbe l’apice, questi sono gli scenari che hanno davanti e intanto i giuristi cercano di spiegarli e poi i parlamentari.
Qui ad un certo punto bisognerà prendere posizione e si potrà anche prendere una posizione diversificata e cioè mantenere intatta una visione, che in fondo nel libro dice sono beni che hanno tutti lo stesso valore e poi entrare all’interno della fatica del parlamentare, e qui ce ne sono presenti alcuni, per trovare quei passaggi che non incidono sul sistema trovando delle leggere diversificazioni che possano dire, stiamo trattando situazioni che sono differenti senza però depenalizzarle, questo è fondamentale perché nel momento in cui invece si esce dalla norma penale non crolla uno due episodi ma crolla tutto il sistema e questo vuole dire il libro , non si può uscire da quella norma penale, la norma penale non appartiene al singolo consociato, non appartiene a ciascuno, è garanzia di tutta la collettività e perché sia garanzia di tutta la collettività anche il singolo deve fare la sua battaglia perché venga mantenuta intatta, ultimo profilo di assoluto interesse e qui viene detto molto bene.
Si arriva a questo punti, anche in fondo Eugenia l’ha detto, quando sono mancati i presidi iniziali a dire, anche l’ultimo caso della ragazza che a un certo punto si è abbandonata, lei scrive nella lettera e ma io però avevo provato ad interloquire con le istituzioni sanitarie e lì non ha trovato risposta, questo è un passaggio cruciale, perché è evidente che potremmo fare tutte le battaglie più belle del mondo, ma se non funziona tutta la parte in qualche modo preventiva, quando però si è già nella patologia, quindi è una prevenzione all’abbandono che significa, qui c’è Paola Binetti, tutto il tema della palliazione le cure sotto il lavoro faticosissimo che si sta facendo adesso è quello di dare una strada che possa dare delle risposte, se quelle risposte non le ha eh beh bisogna anche fare un po’ di autocritica, perché se quelle risposte non vengono date al singolo paziente ed è disperato nonostante intorno possa avere qualche cordone di solidarietà umana, ma l’amministrazione, il sistema sanitario non ha dato quelle risposte, qui non dico che si ha sulla coscienza anche l’esito, però bisogna farsi un bell’esame di coscienza a livelli istituzionali perché è difficile che trovino persone che pervicacemente vogliono abbandonarsi, sono ovviamente indotte nelle loro fragilità dall’assenza di risposte da parte della comunità istituzionale, amministrativa, sociale, familiare e quando manca ecco che si arriva verso quell’esito e quindi l’antidoto poi e tutta quasi fase preliminare in un mondo perfetto che non esiste.
Se ci fosse tutta questa parte invece ben collaudata e ben funzionante, l’Italia da questo punto di vista e comunque esemplare rispetto ad altri paesi europei, certamente li si attenuano questi casi, o del resto chi lavora nelle corsie dell’ospedale è raro che ci sia l’istanza verso il fine vita, è molto più presente l’istanza nella continuazione della cura e della terapia, percentualmente di gran lunga, poi ci sono dei casi un po’ mediatici, che fanno un po’ assurgere questi in qualche modo paladini di questa libertà che vuole che sia giuridificata ad emblema di una autodeterminazione, ed è su quelli che uno da un lato deve fare un po’ i conti anche con la capacità del legislatore di non essere emotivo e nel caso specifico di corrispondere alla richiesta della corte costituzionale, ma non nei termini della corte costituzionale, perché qui c’è ancora una libertà di un Parlamento che è alla pari e forse anche un pezzetto sopra la carta dalla corte costituzionale e quindi ha la possibilità di rispondere, perché doveroso rispondere, e quindi prendere posizione, dare ma non è detto che debba assecondare pienamente quello schema, dopodichè sarà la corte nella sua libertà, vicepresidente Mirabelli che con la sua esperienza potrà anche dire qualcosa riguardo, che potrà a questo punto ritenere conforme o non conforme alla sua ordinanza, però questo credo sia un punto importante che ci offre anche questo volume, che davvero saluto con tanta attenzione, da parte mia e di altri giuristi, Scienza e Vita che ci sono tante cose anche al Centro Studi Livatino e anche per la cara amicizia che ho con Mauro Ronco.
Vi ringrazio.

 

QUAGLIARIELLO
Grazie professor Gambino innanzitutto per la concretezza del suo discorso che ha portato diciamo ad evidenziare uno spazio indisponibile, che parte da determinati principi e uno spazio invece riservato alla tattica nella quale all’interno del quale possono maturare soluzioni.
L’unica cosa che credo di poter ribadire e dopo aver sentito l’intervento del professor Gambino, è che l’unica tattica che è perdente è quella di fa finta di nulla e non dare una risposta ,ed è purtroppo questa al momento la tendenza prevalente anche all’interno delle camere dove c’è uno strano sistema di governo che si fonda su un contratto, per cui tutto ciò fuoriesce dal contratto diventa diciamo “tabù”, non si può toccare e questo inevitabilmente, come in questo caso, porta non ad una situazione di stallo ma ad una situazione nelle quale poi maturano determinate posizioni, perché ovviamente a muoversi non è soltanto il Parlamento, in questo la mancata risposta alla corte può evidentemente significare il prevalere all’interno del paese di una soluzione, per non quanto non prevista dal contratto di governo, che implica invece uno spostamento degli equilibri politici e sociali.
Devo dire una cosa su questo, voglio ricordarla per amor di verità, che non c’è dubbio che è sempre bene farsi un esame di coscienza, ma quando nella 15esima legislatura fu messa a punto dall’allora maggioranza di centrodestra una legge sul testamento biologico, sul cosiddetto testamento biologico diciamo che apriva questo tema dopo il caso Englaro, stando bene attenti a che questa legge non significasse altro fu portato avanti un programma per cui mentre un ramo del Parlamento si occupava di questa legge e l’altro trattava le cosiddette cure palliative, proprio per venire incontro all’esigenza che è stata qui di prevenzione, che è stata qui evidenziata, ecco se quell’accordo quello “scambio” non si è concretizzato, non è andato in porto, io devo dire che a mio avviso dipende dal fatto che su questo tema c’è una volontà ideologica previdente.
Ed è questa poi la ragione per la quale in realtà tutto quello che è favor vitae, anche inteso come prevenzione, ha una difficoltà ad affermarsi o quanto meno viene considerato non eccessivamente importante, sotto questo aspetto non c’è dubbio che nell’ordinanza della corte c’è un salto logico, ma è altrettanto certo che il vulnus si è creato con la legge sul testamento biologico approvata la scorsa legislatura ,e forse il primo lavoro che andrebbe fatto è evidenziare con quanta forza nella scorsa legislatura, dei sostenitori della legge, è stata negata la volontà eutanasica, è stato con forza evidenziato che quella legge non aveva assolutamente nulla a che fare con l’eutanasia, non si riesce a comprendere perché nel momento nel quale questa affermazione è stata con tanta forza smentita dall’ordinanza della corte per quanto un salto logico, quel salto logico si è innestato su quella premessa e diciamo gli stessi sostenitori di quella legge non sono disposti a fare un passo indietro e a riparare il vulnus, ma chiedono di andare avanti, ecco con queste considerazioni io do la parola al presidente Mirabelli che qui più che come giudice, come presidente della corte, presidente emerito della corte, è stato evocato come una sorta di cassazione, cioè colui il quale ci deve dire l’ultima parola.
Per le conclusioni la parola al presidente Mirabelli.

 

MIRABELLI
Grazie anche da parte mia, anzitutto un apprezzamento particolare a chi ci ha invitato a riflettere alla Fondazione Magna Carta del Centro Studi Livatino.
Le iniziative che si ripetono su temi, che incidono fortemente sulla vita di ciascuno ella comunità, rendono meritoria d’azione di queste due entità e un’espressione di ammirazione, non solamente apprezzamento per questo volume che è condotto come Alberto Gambino sottolineava, sul filo della ragione e cioè in un contesto nel quale la tecnica generale è quella di colpire le emozioni e di tradurre le ideologie in messaggi.
Qui c’è l’invito a una riflessione e una argomentazione che deve indurre appunto a fare i conti con la ragione e con i principi, e questo è tanto più importante se si tiene ancora presente una espressione di Calamandrei, che riteneva il diritto quel tanto di politica che passa attraverso gli schemi e gli schermi della ragione, se ancora così credo che questo volume dovrebbe aiutare molto a riflettere e a far riflettere il legislatore.
Tenendo conto di principi anche qui con una attenzione , perché recupero un’osservazione che è stata fatta sulla giurisprudenza , sull’attività dei giudici che, qualche volta passa da una interpretazione a una integrazione dell’ordinamento e qualche volta una sostituzione della fonte legislativa, approfittando delle praterie che sembrano aperte dai principi, abbiamo tutti presenti delle sentenze per la verità qualche volta più spesso, anzi della Cassazione che non della Corte Costituzionale, che enunciano dei decaloghi sostitutivi della legge.
Per quel che riguarda la corte farei attenzione al complesso della decisione della corte che certamente ha trovato degli spunti e degli agganci nella legge sulle DAT, ma anche lì forse una qualche rilettura, non dico correttiva ma equilibrata dovrebbe essere fatta.
Venendo alla ordinanza della corte anch’io credo di aver letto sentenza perché la struttura è quasi decisoria, manca un dispositivo e c’è forse anche il divertimento intellettuale di usare per la prima volta una ordinanza che da un termine al legislatore imitando un po’ le linee che segue il tribunale costituzionale tedesco, quando vuole stabilire un necessario intervento legislativo e differisce la sua dichiarazione di incostituzionalità dando tempo al legislatore di provvedere.
Se anche leggiamo questa ordinanza, vediamo che ha due versanti, né cito qualche frase perché è davvero significativo, quando si afferma ad esempio che “il legislatore penale intende nella sostanza proteggere il soggetto da decisioni in suo danno non ritenendo tuttavia di poter colpire direttamente l’interessato, gli crea intorno una cintura protettiva inibendo ai terzi di cooperare in qualsiasi modo con lui” e questo assetto non può ritenersi contrastante con i parametri evocati con la costituzione, cioè afferma perché lo dice poi a tutto tondo, che sanzionare penalmente l’aiuto al suicidio è in linea con la Costituzione, è il diritto alla vita affermato come primo dei diritto inviolabili dell’uomo in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri, trova fondamento nell’art.2 della Costituzione e in modo esplicito nell’art.2 della CEDU, la corte costituzionale dei diritti dell’uomo e della convenzione europea dei diritto dell’uomo.
Dall’ art.2 della costituzione discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo, ma non quello diametralmente opposto di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzo un aiuto a morire, su questo credo non ci sarebbe proprio nessuna osservazione da fare, se non individuare in questo il fondamento della garanzia che deve essere prestata alla persona.
Ancora una volta su quello che è l’autodeterminazione, il legislatore penale non può ritenersi inibito vietare condotte che spianano la strada a scelte suicide in nome di una concezione astratta dell’autonomia individuale, mi parrebbe che questo versante sia un versante che chiude la porta ad ogni altra posizione sull’introduzione di norme che tendano all’eutanasia.
Anche nella parte di apertura, che è molto legata al caso e molto dimensionata al caso, ci sono delle specifiche enunciazioni che limitano fortemente la possibilità di intervento in conformità alla Costituzione.
A me pare che la corte ha aperto uno spiraglio come l’unico che la Costituzione consente, ed è l’entusiasmo, e questo determinato entusiasmo che trae occasione da questo per aprire un portone e cioè per introdurre l’eutanasia.
Cosa che la sentenza della corte con l’ordinanza, meglio scusate proprio l’andamento della motivazione che induce a questo, non determina perché limita questa ipotesi, ipotesi in cui ci sia una possibilità di intervento nel caso in cui il soggetto sia affetto da una patologia irreversibile con sofferenze fisiche e psicologiche che trova intollerabile, la tenuta in vita a mezzo dei trattamenti di sostegno vitale, capace di prendere decisioni libere e consapevoli e pone una serie di condizioni.
Qui si potrebbero toccare anche altri aspetti che vengono indicati nell’ordinanza ma l’elemento che a me pare essenziale, ed è quello più rischioso in questo contesto e nel contesto dell’ordinanza della corte è il passaggio da una non punibilità in alcuni casi, dell’aiuto al suicidio strettamente determinati, considerando invece la punizione dell’aiuto al suicidio, come elemento che costituzionalmente non solo è consentito ma forse anche doveroso, il passaggio da questa condizione che può incidere in qualche modo sull’art. 580 del codice penale, ha una visione di un diritto all’aiuto al suicidio, in determinati casi cioè prospettarle in questi termini e questo determinerebbe un atteggiamento pretensivo, un diritto al suicidio e non invece una tolleranza del suicidio, una non punizione del suicidio, cosa che del resto tutti i penalisti ritengono impossibile perché o la persona è morta o se ci sarebbe la sanzione che indurrebbe a punire chi non ha compiuto l’atto che considerato dal punto di vista penale illegittimo, allora mi pare che il punto veramente importante è non aprire questo portone e a valutare con attenzione quello che lo sviluppo parlamentare di attuazione in qualche modo della decisione della corte costituzionale nei limiti in cui la decisione stessa è un valore vincolante assume e perciò l’ambito che veniva indicato di come in egual misura intervenire sulla 580 è il problema reale che si pone all’attenzione che dobbiamo e possiamo dire.
Una battuta sulle dichiarazioni anticipate di trattamento è vero consentono, hanno un qualche elemento che tocca anche lì un aspetto, partendo da una situazione concreta che aveva determinato poi la sentenza della corte di cassazione del caso Englaro e lo fa con un artificio linguistico, quando dice che sono considerati trattamento sanitario la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, cioè per un certo aspetto ammette che non possono essere considerate trattamento sanitario.
Li considera trattamento sanitario e lo fa per le tecniche di somministrazione e cioè che fa ricorso a dispositivi medici o all’esserci una prescrizione medica per entrambi, questi due elementi sono di particolare debolezza ma per altri aspetti a me pare che la legge 219 non consenta, interpretata correttamente, un’apertura verso l’eutanasia perchè anche laddove valorizza in eccesso anzi lo pone con modalità che appaiono in qualche modo vincolanti, più stringenti di quanto non prevede ad esempio la stessa convenzione di Oviedo, quando impone nel rispetto della volontà espressa dal paziente nell’accettare o rifiutare trattamenti sanitari e aggiunge anche che il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari tra l’altro alla deontologia professionale e valorizza quindi dal punto di vista normativo la deontologia professionale nella quale troviamo questa disposizione specifica, sotto la rubrica di atti finalizzati a provocare la morte il medico anche su richiesta del paziente non deve effettuare ne favorire atti finalizzati a provocare la morte, allora siamo davvero nel contesto di una legge che rinviando gli aspetti deontologici esclude un percorso eutanasico, e questa posizione mi pare sia stata ribadita ancora una volta dalle rappresentanze dei medici, successivamente all’ordinanza della corte costituzionale affermando che non può rientrare nella loro attività in qualche modo cooperare a forme di eutanasia, sia pure che in quel percorso un po’ ipocrita che abbiamo visto affermato quando il medico predispone tutto ma chi schiaccia il bottone, ingoia la pillola o beve il bicchiere è il malato e anzi é aiutato nei limiti in cui non riesce a farlo.
Qual’è il rischio di inserimento di una nuova normativa nel contesto della 219 che aprirebbe un percorso che configura ogni intervento di aiuto al suicidio come trattamento medico in un percorso che riguarda una attività da svolgere nelle istituzioni sanitarie e allora questo si che aprirebbe la porta ad un atteggiamento di tipo pretensivo del soggetto e di prestazione che diventa metro, sotto questo aspetto medicale anche per quanto riguarda l’aiuto al suicidio io credo che questo è uno dei rischi maggiori che una disciplina di attuazione delle indicazioni, l’ordinanza la corte costituzionale può avere.
Seguendo il crinale stretto che l’ordinanza propone, perché se ci si pone su un versante di disciplina delle modalità di attuazione dell’autodeterminazione nella sua assolutezza, davvero saremmo molto oltre quanto è necessario per superare quel limite di vulnus alla costituzione che, condivisibile o non condivisibile la corte costituzionale ha individuato e determinato, perciò attenzione a non avere una linea fuorviante rispetto all’ambito che l’ordinanza della corte pone come costituzionalmente necessario.
Mi pare che questa è la pulsione ideologica trarre occasione dall’ordinanza, che qualche argomento o meglio elemento per aprire la strada pure lo offre, partire da questa ordinanza per introdurre una forma di eutanasia, camuffata o meno, tale da rompere poi con i principi che sono stati richiamati.
Credo che un aiuto a riflettere in questo ambito sia opportuno, come sia opportuno aprire un dibattito, sono temi di tale importanza per i quali non è che una assenza delle indicazioni che sono contenute in un contratto di governo debbano portare a escludere, comprimere o evitare un dibattito pubblico per una soluzione così che possa essere portata avanti nel silenzio generale da chi più avvertito nel gioco parlamentare.
Io credo che nel dibattito pubblico individuando tutti i rischi anche che le aperture determinano, ponendo in luce tutti gli aspetti che sono in gioco, e tornando anche a una riflessione sui principi che non sono necessariamente o solamente di carattere religioso fideistico, ma ancorati alla ragione e alla valutazione del come noi consideriamo la vita delle persone e la vita sociale istituzionale.
Sono in gioco davvero valori importanti, il volume che ci è stato offerto offre uno spaccato molto interessante anche di quella che è l’evoluzione di posizioni dottrinali e di erronee impostazioni sugli aspetti dell’eugenetica dell’eutanasia, non solamente nell’ambito e politicamente scorretto seguito nel periodo nazista ma come filone culturale che precede e segue in forme diverse con mutamenti nella linea argomentativa, nei fondamenti ma con eguali esiti precede quello che tutti rifiutano.
Credo sia importante una riflessione serena, sollecitare una riflessione serena, le occasioni come queste, ancor più la lettura e direi la diffusione di questo libro non come libro polemico ma come libro di approfondimento di necessario approfondimento, costituisce un dovere individuale e collettivo. Grazie.

 

QUAGLIARIELLO
Grazie professor Mirabelli per la sua lettura, rimane da ringraziare nuovamente il Centro Studi Livatino, Fondazione Magna Carte per questa serata e per darci appuntamento ad altre discussioni che potranno proficuamente occupare questi 90 giorni ed evitare quello che è stato evidenziato da tutti, una scelta importante non si compie nel silenzio e nell’indifferenza del paese.
Grazie ancora.